Guardando al mondo delle relazioni sociali, la tendenza degli ultimi anni sembra essere quella di privilegiare una modalità relazionale indiretta, che sempre più spesso passa attraverso le moderne tecnologie, impoverendo il contatto umano e deprivandolo della parte più profonda, quella fatta di sguardi, abbracci, tono della voce, empatia, condivisione di spazi reali.
Si assiste ad una sempre più scarsa capacità di coinvolgimento emotivo, a relazioni sempre più superficiali, avvicinandosi a ciò che si potrebbe chiamare autismo relazionale: rinchiusi nel proprio mondo autocentrato, si fatica ad entrare in relazione autentica. La mancanza di relazioni autentiche è chiaro segno di un sentimento sociale non sviluppato a sufficienza e può divenire fonte di una disturbante sensazione di vuoto.
Altra fonte di malessere e di vuoto, nella società occidentale odierna, è la deprivazione della speranza. La maggioranza dei giovani non cresce con la prospettiva di poter costruire un futuro migliore, ma con messaggi (spesso distorti) su più fronti che riportano la promessa di un declino, di un disastro imminente sia sul piano sociale che individuale, laddove la mancanza di lavoro a volte viene a coincidere con la mancanza di senso personale, data l’attuale incisività dell’area lavorativa nella vita delle persone.
In proposito Galimberti scrive che “quando il futuro chiude le sue porte o, se le apre, è solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza, inquietudine, allora, come dice Heidegger, "il terribile è già accaduto", perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione cresce, l'energia vitale implode”[1], ed il nichilismo (ospite inquietante) avanza. “La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell'assoluto presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva”[1]. Si vive dunque in un continuo attimo presente, che risulta comunque poco appagante poiché dominato dalla mancanza di senso, dall’implosione delle aspettative e dall’impotenza (ciò che Spinoza definiva passioni tristi).
Anche se a primo avviso potrebbero sembrare fattori di competenza unicamente filosofica o sociologica, in realtà non è così: quanto descritto impatta notevolmente sul benessere psichico, sullo stile di vita e sull’equilibrio emotivo della persona, incidendo profondamente sul suo modo di vedere se stesso e gli altri, sulle sue prospettive e sui suoi comportamenti.
Una persona cresciuta in un ambiente bloccato sul presente e privo di speranze per il futuro, centrato sul fare e che non valorizza la relazione, facilmente crescerà come adulto centrato su se stesso e sul soddisfacimento immediato dei bisogni, incapace di impegno teleologicamente orientato, che fatica a cooperare e che spesso non è in grado di tollerare la frustrazione. Queste caratteristiche si prestano facilmente come culla per disarmonie e malesseri, soprattutto per quelli che si fondano sulla difficoltà di tollerare e gestire il vuoto e il limite, come la depressione, l’ansia, le tensioni emotive e gli attacchi di panico, sintomatologie oggi in crescita.
Sappiamo però che tale relazione non è deterministica, poiché grazie al Sé creativo l’individuo ha facoltà di elaborare esperienze e rispondere ed esse in modo del tutto personale (in relazione alle proprie risorse e all’insieme di tutti gli “altri significativi” con cui è entrato in contatto).
Il puntare su questa risorsa, contemporaneamente al rinforzo del sentimento sociale e della speranza, potrebbe essere la chiave di volta nella promozione del benessere e dell'equilibrio.
[1] Galimberti U., 2007, L’ospite inquietante: il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli